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L’impatto delle elezioni USA sulle valute dei mercati emergenti
Jens Søndergaard
Analista valutario

I risultati delle elezioni presidenziali USA di novembre sono destinati ad avere implicazioni di ampia portata sul dollaro USA e sui tassi di cambio dei mercati emergenti (ME). In questo articolo esamineremo le possibili conseguenze delle elezioni sulle valute dei ME, attraverso l’impatto sui dazi, le sanzioni, la politica fiscale, le politiche economiche non ortodosse e l’immigrazione.


La politica commerciale sarà probabilmente l’elemento principale attraverso cui le elezioni influiranno sui tassi di cambio dei ME. L’ex presidente e candidato repubblicano Donald Trump ha sempre considerato i dazi commerciali un elemento chiave della sua strategia, con particolare riferimento alla Cina. Durante il primo mandato di Trump, i dazi medi sulle importazioni statunitensi dalla Cina sono aumentati dal 4% al 17% e questo, secondo un report del WTO del 20201 si è tradotto in una netta riduzione degli scambi commerciali tra gli USA e la Cina con un sostanziale dirottamento dei commerci verso altre regioni.


Anche la candidata democratica Kamala Harris appare orientata al protezionismo, ma potrebbe adottare un approccio più mirato focalizzandosi ad esempio sui veicoli elettrici (VE) provenienti dalla Cina nel tentativo di tutelare il settore dell'energia rinnovabile statunitense.


Variazioni tassi di cambio nel 2018 e 2019

Variazioni tassi di cambio nel 2018 e 2019

Dati a settembre 2024. Fonte: Bloomberg. 

Nel complesso l’esito delle elezioni, le politiche che saranno attuate dalla nuova amministrazione USA e il relativo impatto sui ME sono piuttosto incerti. Nel caso di un apprezzamento del dollaro, le valute dei ME dovrebbero registrare un calo generalizzato, sebbene alcune siano più sensibili di altre alla solidità del biglietto verde. Tra queste le valute dei Paesi che ricorrono ampiamente alle importazioni, in particolare quelli che hanno ampi deficit commerciali come il Senegal e il Kenya. Altre valute sono più sensibili alla propensione al rischio e alle aspettative sulla crescita globale, tra cui le valute commodity come il rand sudafricano, il real brasiliano e il peso colombiano.


Alcune valute sono influenzate da politiche specifiche. Le preoccupazioni relative ai dazi influirebbero principalmente sulla Cina, mentre Messico, Trinidad e Costa Rica sono i Paesi che esportano di più verso gli USA. Un aumento significativo dei dazi USA potrebbe influire sulle supply chain globali, rendendo l’esposizione al commercio globale tanto importante quanto l’esposizione agli USA. Corea, Taiwan e Messico sono noti per l’ampia esposizione dei loro ricavi agli Stati Uniti, e le loro economie sono fortemente dipendenti dagli input dalla Cina. Il Messico è inoltre vulnerabile alle possibili variazioni della politica statunitense in materia di immigrazione: eventuali ripercussioni negative sulle rimesse ne danneggerebbero la crescita, le partite correnti, e dunque la valuta.


Per quanto riguarda i “Paesi rifugio” all’interno dei ME, India e Brasile potrebbero essere meno vulnerabili di altri: le loro economie sono relativamente isolate e sono meno sensibili all’andamento del dollaro. India e Brasile sono inoltre alleati geopolitici fondamentali degli USA, che difficilmente alzeranno i dazi nei loro confronti. 


1. Dati al 19 marzo 2020. Fonte: World Trade Organisation. An economic analysis of the US-China trade conflict. 



Jens Søndergaard è analista valutario presso Capital Group. Vanta un’esperienza di 18 anni nel settore degli investimenti, di cui 11 in Capital Group. All’inizio della sua carriera in Capital ha ricoperto il ruolo di economista occupandosi di Eurozona e Regno Unito. Prima di unirsi all’azienda è stato economista senior specializzato in Europa presso Nomura, economista senior presso la Bank of England e professore ausiliario presso la Johns Hopkins University. Ha conseguito un dottorato in economia e una laurea di secondo livello in affari esteri presso la Georgetown University. Opera dalla sede di Londra.


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