Capital GroupSM
Categories
Mercati emergenti
Probabile divario nei tassi di crescita di tutti i mercati emergenti, ma la direzione è positiva
Kirstie Spence
Gestore di portafoglio a reddito fisso

La crescita economica è un fattore chiave per i rendimenti del debito dei mercati emergenti (ME). Sebbene vi sia un esiguo legame diretto tra una crescita più elevata e maggiori rendimenti degli investimenti nel debito dei mercati emergenti, una crescita economica più rapida, misurata dalla crescita del prodotto interno lordo (PIL), tende ad essere associata a indicatori fiscali e di credito estero più forti. In generale, inoltre, promuove una situazione politica più stabile, che può consentire le necessarie riforme economiche. Il rafforzamento della crescita economica può anche tradursi in tassi di interesse più alti, attirando capitali esteri.


L’ultimo World Economic Outlook (WEO) del Fondo Monetario Internazionale (FMI) mostra la differenza tra le previsioni pre-COVID e quelle attuali per i livelli del PIL del 2024. In altre parole, mostra il calo della produzione durante la crisi del COVID ed evidenzia gli scostamenti di rilievo tra le varie regioni del mondo. Ad esempio, il livello del PIL statunitense previsto per il 2024 dovrebbe essere maggiore nel periodo post-COVID rispetto a quello del periodo pre-pandemia. Soprattutto, però, mostra il divario di crescita tra i mercati sviluppati e quelli emergenti. Oltre alla categoria dei ME europei, gran parte degli altri Paesi emergenti ha registrato notevoli cali di produzione durante il COVID. In generale, le economie dei ME hanno perso circa 12-14 mesi di crescita a causa della pandemia, mentre le economie sviluppate hanno perso solo 6-8 mesi.


L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha condotto uno studio simile sul PIL pro capite, mostrando che gli Stati Uniti e la Corea hanno raggiunto livelli di reddito pro capite pre-pandemici circa 18 mesi dopo la diffusione del coronavirus. L’Europa dovrebbe impiegare generalmente 2-3 anni per raggiungere questo livello, mentre molti Paesi emergenti, tra cui il Messico e il Sudafrica, dovrebbero impiegare 3-5 anni.


Il divario in termini di crescita è determinato da una serie di fattori


Sostegno monetario e fiscale a livello nazionale: le differenze di “vigore” delle riprese economiche sono dettate dalla capacità dei governi di sostenere i lavoratori e le imprese che sono stati più esposti alla pandemia. Le economie sviluppate, nel complesso, sono state in grado di fornire un forte sostegno fiscale sia alle famiglie che alle aziende e le banche centrali hanno sostenuto le loro economie attraverso programmi di acquisto di attivi e altre forme di allentamento monetario. Alcuni Paesi ME sono stati in grado di offrire un sostegno fiscale e monetario (come la Cina), ma in generale i livelli di sostegno sono stati inferiori rispetto a quelli dei Paesi sviluppati.


Campagne vaccinali e misure di contenimento: i Paesi che hanno rapidamente avviato le campagne vaccinali e quelli che stanno gestendo la diffusione della pandemia attraverso efficaci strategie per la salute pubblica stanno complessivamente registrando una ripresa economica accelerata. Molti Paesi ME si stanno confrontando con la lentezza nell’attuazione delle campagne vaccinali e con nuovi focolai. Il FMI sottolinea la difficoltà nell’approvvigionamento di vaccini nei Paesi ME e il fatto che per quest’anno e il prossimo sarà necessario ricorrere con maggiore frequenza a lockdown e misure di contenimento, aumentando le probabilità di “cicatrici difficili da rimarginare, i cosiddetti effetti scarring, nel medio termine sulla potenziale produzione di questi Paesi”. Questo dato viene paragonato al periodo post-crisi finanziaria globale, durante il quale i Paesi emergenti si sono ripresi in modo relativamente veloce, mentre quelli sviluppati non sono riusciti a restare al passo e hanno archiviato un maggiore effetto scarring. Da un lato concordiamo con il FMI su questi fattori, ma dall’altro riteniamo che restrizioni alla mobilità meno severe nei Paesi ME possano inoltre contribuire a ridurre le recessioni in tali Paesi, in particolare nell’eventualità di un avvio a breve delle campagne vaccinali. L’Asia, ad esempio, è riuscita a bloccare il virus già con i primi, severi lockdown. La Cina, in particolare, ha registrato una ripresa relativamente rapida dell’attività economica e dovrebbe beneficiare del supporto dei fattori tecnici e fondamentali. Considerata la natura intra-regionale dei rapporti commerciali della Cina, che è per altro un grosso consumatore di materie prime, la rapida ripresa del colosso asiatico si ripercuote positivamente sui mercati emergenti.


Settore dominante: un altro fattore importante è la dipendenza dei Paesi da settori che sono stati penalizzati dalla pandemia. Le economie basate sul turismo sono in genere in difficoltà a causa della lenta normalizzazione dei viaggi transfrontalieri. La domanda globale di petrolio sta mostrando segnali di ripresa dopo un calo record nella prima metà del 2020, ma servirà più tempo per tornare ai livelli del 2019. Pur aspettandoci un aumento dei prezzi di materie prime come i minerali ferrosi e il rame, non crediamo che questo ciclo delle commodity sarà vigoroso come quello successivo alla crisi finanziaria del 2008. In questo caso, infatti, a fungere da catalizzatore è stato l’enorme boom edilizio in Cina: una dinamica che difficilmente si ripeterà su così ampia scala. I consumatori in generale spendono di più per i beni e di meno per i servizi sin dall'inizio della pandemia. A trarne vantaggio sono stati i Paesi coinvolti nelle filiere dei prodotti farmaceutici, delle forniture mediche e dei materiali IT. Nonostante la retorica politica, dubitiamo che ci sarà davvero una rilocalizzazione su larga scala delle catene di fornitura dalle economie in via di sviluppo: una visione ampiamente comprovata dagli ultimi dati del settore manifatturiero.


Beneficiari delle misure di stimolo fiscale globali: i mercati emergenti sembrano ora pronti a cavalcare l’onda favorevole degli stimoli provenienti dalla Cina, dagli Stati Uniti e dal resto dei mercati sviluppati grazie all’aumento delle esportazioni. Come mostra il grafico di seguito, l’impatto delle misure di stimolo fiscale statunitensi darà probabilmente un forte impulso alla crescita dei Paesi emergenti, ma non favorirà tutti i ME in egual misura. Sembra che il Messico, il Brasile e la Cina abbiano tutte le carte in regola per beneficiare di un’impennata della domanda di importazioni statunitense. Il PIL delle grandi economie meno aperte dei ME asiatici (l’Indonesia, ad esempio) in generale non beneficerà di volumi commerciali più consistenti. La ripresa di queste economie dipende dai progressi compiuti in materia di vaccinazioni e/o di immunità di gregge, che procedono ancora a rilento.


 


Il rischio per i ME è che la ripresa della crescita globale sia così forte da determinare un inasprimento della politica monetaria prima che le ricadute sulle economie dei mercati emergenti abbiano avuto la possibilità di prendere piede. La politica fiscale controciclica potrebbe anche attivarsi verso la fine dell’anno in molti ME asiatici e probabilmente intensificarsi con l’attenuarsi della crisi da COVID. Da un lato ciò potrebbe limitare gli effetti positivi di una vigorosa crescita globale, dall’altro non ci aspettiamo una replica del nervosismo registrato nel 2013. All’epoca, le economie ME erano generalmente surriscaldate e presentavano notevoli vulnerabilità esterne. Sebbene da allora la spesa pubblica e il debito siano aumentati, il passaggio verso il debito in valuta locale e il debito a lunga scadenza ha contribuito a ridurre la dipendenza da flussi di capitale estero a breve termine nei Paesi emergenti. Vi sono rischi associati a un aumento dell’indebitamento, ma i mercati finanziari internazionali in generale hanno apprezzato i ME, non da ultimo grazie alla ricerca di asset a più alto rendimento da parte degli investitori, in quanto hanno apprezzato anche le società dei Paesi emergenti.



Kirstie Spence è gestore di portafoglio a reddito fisso in Capital Group. Ha maturato 25 anni di esperienza nel campo degli investimenti, tutti in Capital Group. Ha conseguito un master con lode in tedesco e relazioni internazionali presso la University of St. Andrews, in Scozia. Opera dalla sede di Londra.


Never miss an insight

The Capital Ideas newsletter delivers weekly investment insights straight to your inbox.