Come già nel 2020, anche nel 2021 i rendimenti del debito dei mercati emergenti saranno influenzati soprattutto dall’andamento della pandemia di COVID-19 e dal contesto macroeconomico globale. I continui stimoli monetari e fiscali, la ripresa nelle economie sviluppate e rapporti geopolitici meno tesi potrebbero innescare un circolo virtuoso per questo segmento, sul quale incombono invece rischi come l’aumento dell’indebitamento pubblico finanziato dai mercati dei capitali internazionali e le imminenti elezioni in alcuni paesi. I rendimenti saranno verosimilmente influenzati dall’andamento specifico delle singole economie in via di sviluppo e dalle politiche locali, il che comporterà una profonda divergenza all’interno della classe di attività.
Dopo che il debito dei mercati emergenti ha reso il 5,8% nel 2020, come rappresentato dall’Indice JPMorgan EMBI Global, che cosa riserverà il 2021? In questo articolo, illustreremo i fattori positivi che sosterranno il debito dei mercati emergenti, ma parleremo anche di alcune sfide e di dove risiede il potenziale valore di questi mercati.
I fattori positivi
Politica monetaria: la liquidità creata dalle politiche ultra-accomodanti delle principali banche centrali fornisce un contesto favorevole per il debito dei mercati emergenti. Questo infatti è uno dei pochi settori a reddito fisso che offre ancora rendimenti discreti nell’ordine del 4-6% e ha riscosso poca attenzione da parte degli investitori istituzionali negli ultimi anni. Il risultato potrebbe essere un aumento degli afflussi nelle obbligazioni dei mercati emergenti, denominate sia in valuta forte che in valuta locale.
Stimoli fiscali: le economie dei mercati sviluppati hanno aperto il 2020 con un elevato debito sovrano. Ora che gli occhi sono puntati sui massicci pacchetti di stimolo fiscale - in vigore almeno fino alla fine della pandemia - i paesi emergenti sono ben posizionati per trarre vantaggio dalle nuove circostanze, in quanto fornitori delle materie prime necessarie ai grandi progetti infrastrutturali finanziati dai vari Stati.
Il ciclo delle commodity: le materie prime sono ancora abbastanza convenienti, pur a fronte di un primo rincaro dei prezzi. La domanda globale di petrolio sta mostrando segnali di ripresa dopo un calo record nella prima metà del 2020, ma servirà più tempo per tornare ai livelli del 2019. Pur aspettandoci un aumento dei prezzi di materie prime come i minerali ferrosi e il rame, non crediamo che questo ciclo delle commodity sarà vigoroso come quello successivo alla crisi finanziaria del 2008. In questo caso, infatti, a fungere da catalizzatore è stato l’enorme boom edilizio in Cina: una dinamica che difficilmente si ripeterà su così ampia scala.
Crescita nelle economie sviluppate: la forza della ripresa nelle economie sviluppate sarà un fattore importante per rilanciare il debito dei mercati emergenti, soprattutto per i paesi in via di sviluppo che sono importanti esportatori di materie prime e svolgono quindi un ruolo significativo nelle catene di approvvigionamento manifatturiere o sono fortemente dipendenti dal turismo. Ci aspettiamo un ritorno a una parvenza di normalità nell’attività economica attorno alla seconda metà dell’anno.
Ripresa del ciclo manifatturiero: con la ripartenza dell’economia globale, prevediamo anche una ripresa del ciclo manifatturiero a tutto vantaggio delle economie emergenti. Nonostante la retorica politica, dubitiamo che ci sarà davvero una rilocalizzazione su larga scala delle catene di fornitura dalle economie in via di sviluppo: una visione ampiamente comprovata dagli ultimi dati del settore manifatturiero.
Il contesto politico: le politiche commerciali degli Stati Uniti si prospettano meno aggressive sotto la presidenza Biden. Pur non escludendo ulteriori disaccordi sulla politica fiscale o sui diritti intellettuali e la tecnologia, un approccio meno conflittuale e più prevedibile dovrebbe ridimensionare il rischio legato alle cattive notizie.
La Cina alla guida della ripresa: la pandemia di COVID-19 ha colpito le economie di tutto il mondo, ma i paesi in via di sviluppo sembrano aver sofferto meno della battuta d’arresto, grazie a misure restrittive meno prolungate. L’Asia, ad esempio, è riuscita a bloccare il virus già con i primi, severi lockdown. La Cina, in particolare, ha registrato una ripresa relativamente rapida dell’attività economica e dovrebbe beneficiare del supporto dei fattori tecnici e fondamentali. Considerata la natura intra-regionale dei rapporti commerciali della Cina, che è per altro un grosso consumatore di materie prime, la rapida ripresa del colosso asiatico si ripercuote positivamente sui mercati emergenti.
Le sfide
Aumento dell’indebitamento: prima della crisi finanziaria globale, la maggior parte dei mercati emergenti vantava bilanci ampiamente equilibrati. Dopo un decennio di crescita fiacca e calo dei prezzi delle commodity, molti sono stati costretti ad aumentare la spesa fiscale, soprattutto dall’inizio della pandemia. Di conseguenza, il deficit pubblico ha cominciato ad aumentare, con il rischio reale di un’escalation insostenibile dell’onere debitorio in alcune nazioni.
Nonostante i rischi associati a un maggiore indebitamento, i mercati internazionali dei capitali hanno generalmente apprezzato i titoli di Stato dei paesi emergenti, non da ultimo grazie alla ricerca di asset a più alto rendimento da parte degli investitori, finanziamenti selettivi da parte di istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale e il supporto alla liquidità delle principali banche internazionali.